Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  ex  art.   134   della
Costituzione  della  Regione  Veneto  (C.F.   80007580279   -   P.IVA
02392630279), in persona del Presidente della giunta regionale  dott.
Luca Zaia  (C.F.  ZAILCU68C27C957O),  rappresentato  e  difeso  dagli
avvocati    Franco     Botteon     (C.F.     BTTFNC61L01M089S     pec
francobotteon@pec.ordineavvocatitreviso.it),    vice     coordinatore
dell'Avvocatura   regionale   e   Paolo    Stella    Richter    (C.F.
STLPLA38E07H501L pec  paolostellarichter@ordineavvocatiroma.org)  del
Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio  di  quest'ultimo
in Roma,  viale  Mazzini  n.  11  (per  eventuali  comunicazioni  fax
06/32110170          posta          elettronica           certificata
paolostellarichter@ordineavvocatiroma.org
francobotteon@pec.ordineavvocatitreviso.it) giusta mandato a  margine
del presente atto, nel giudizio promosso 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 per
l'annullamento  del  decreto  ministeriale  5   dicembre   2019,   n.
1676/2019, recante: «Dichiarazione  di  notevole  interesse  pubblico
dell'area alpina compresa tra il Comelico e la Val  d'Ansiei,  Comuni
di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di  Cadore,  San
Pietro di Cadore, San Nicolo' di Comelico e Comelico Superiore  (B)»,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale n.  299  del  21
dicembre 2019», nonche'  di  ogni  altro  atto  comunque  connesso  o
presupposto. 
 
                                Fatto 
 
    Con decreto rep. n. 1676/2019 del  5  dicembre  2019,  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale  n.  299  del  21  dicembre
2019, il Ministero per i beni e  le  attivita'  culturali  e  per  il
turismo ha disposto la dichiarazione di notevole  interesse  pubblico
dell'area alpina compresa tra il Comelico e la Val  d'Ansiei,  Comuni
di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di  Cadore,  San
Pietro di Cadore, San Nicolo' di Comelico e Comelico Superiore. 
    Il provvedimento in parola, nell'imporre una peculiare disciplina
d'uso di una vasta area geografica ricompresa  nel  territorio  della
Regione del Veneto, al fine di assicurare la conservazione dei valori
espressi  dagli  aspetti  e  caratteri   peculiari   del   territorio
considerato, dispone che esso «costituisce parte integrante del Piano
paesaggistico di cui all'art. 143 del decreto legislativo n.  42/2004
e non  e'  suscettibile  di  rimozioni  o  modifiche  nel  corso  del
procedimento di redazione o revisione del succitato Piano». 
    Nello  specifico  il  provvedimento   ministeriale   involge   le
circoscrizioni territoriali dei Comuni di Auronzo di Cadore, Danta di
Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolo' di
Comelico e Comelico Superiore, con esclusione del Lago di Misurina  e
della Val Visdende gia' soggette a tutela ai sensi dell'art. 136  del
decreto legislativo n. 42/2004. 
    A giustificare la dichiarazione di notevole interesse pubblico di
un'area geografica tanto vasta e varia  e'  stato  addotto  che:  «Le
condizioni di particolarita' e originalita' orografica  e  geografica
che contraddistinguono tale ambito non dipendono esclusivamente dalla
presenza di singoli episodi di pregio estetico-percettivo, quanto  da
una serie di sistemi di espressione minuta  -  elementi  morfologici,
naturalistici,  ambientali,  antropici  e  culturali,   capillarmente
diffusi e particolarmente ben  conservati  -  che  tra  loro  sommati
conferiscono all'ambito di riferimento  un  aspetto  unitario  e  uno
spiccato carattere d'identita', di notevole  interesse  pubblico.  In
particolare, il paesaggio  in  questione  non  e'  definito  da  sole
bellezze naturali (Dolomiti) e siti panoramici, ma  e'  il  risultato
dell'interazione tra gli  aspetti  naturali  e  una  secolare  azione
antropica, che ha dato forma  al  contesto  e  prodotto  elementi  di
pregio, i quali punteggiano in modo  diffuso  i  luoghi.  Il  sistema
insediativo dei nuclei abitati,  le  pratiche  agrosilvopastorali  di
versante,  l'andamento  geografico  e  orografico   del   territorio,
l'estrema varieta' di ambienti e microambienti naturali riscontrabili
in un'area di limitate dimensioni, concorrono insieme a  definire  un
unicum paesaggistico straordinariamente conservato,  fatto  di  trame
naturali, storiche e culturali tra loro sovrapposte e inscindibili.». 
    Per  effetto  del  decreto  ministeriale  in   parola   qualunque
intervento di modifica dello  stato  dei  luoghi,  nella  vasta  area
considerata,   esige   la   previa   adozione    del    provvedimento
autorizzatorio  di  cui  all'art.  146  del  decreto  legislativo  n.
42/2004. Sono, inoltre, posti puntuali e  plurimi  vincoli  d'uso  ai
sensi dell'allegato A) del medesimo decreto,  recante:  «Relazione  e
disciplina d'uso». 
    Nello  specifico,  tale  disciplinare,  privilegiando   finalita'
meramente conservative, pone specifici vincoli  che  si  estendono  a
ogni aspetto di utilizzo del  territorio,  involgenti  le  componenti
idrogeomorfologiche, le componenti  ecosistemiche  e  ambientali,  le
componenti  culturali  e  insediative,  le  componenti  agrarie,   le
componenti infrastrutturali  fino  a  disciplinare  l'apposizione  di
insegne e cartelloni pubblicitari, di recinzioni e la  rilevantissima
regolamentazione dei comparti sciistici. 
    A tale riguardo, occorre rilevare che nella  vasta  area  cui  si
estende la  disciplina  di  salvaguardia  posta  unilateralmente  del
Ministero, i vincoli  imposti  ex  lege  abbracciano  gia'  la  quasi
totalita' del territorio  e  pressoche'  tutti  i  versanti  vallivi,
ragion  per  cui  viene  meno  ogni  ragione  di  urgenza,   atta   a
giustificare la introduzione di  un  vincolo  generale  e  pervasivo,
idoneo, peraltro,  nel  caso  di  specie,  come  si  dimostrera'  nel
proseguo,  ad  elidere  la  competenza  pianificatoria  paesaggistica
regionale. 
    Infatti, come rilevato nel  parere  espresso  dalla  Regione  del
Veneto nell'ambito del procedimento di apposizione del  vincolo  (DGR
n. 585 del 9 maggio  2019),  per  effetto  della  stratificazione  di
tutele imposte ai sensi dell'art. 142, comma 1, lettere b),  c),  d),
e) g) e h), del decreto legislativo n. 42/2004,  la  quasi  totalita'
del territorio (96,6%, comprensivo delle aree boschive) proposto alla
dichiarazione di notevole interesse pubblico e' assoggettato a tutela
paesaggistica. Ne  consegue  che  la  previsione  di  una  disciplina
vincolistica d'uso, dettagliata, puntuale e pervasiva,  quale  quella
contenuta nel decreto ministeriale in questa sede  impugnato,  da  un
lato eccede ogni necessita' di tutela e dall'altro canto presenta  in
concreto  un  contenuto  pianificatorio  che  mal  si  attaglia  alla
teleologia del potere previsto dall'art. 138, comma  3,  del  decreto
legislativo n. 42/2004 e che esautora le regioni  di  una  competenza
codecisoria riservata alle stesse dalla  medesima  normativa  statale
attuativa del dettato costituzionale. 
    La condivisibile esigenza di tutela e salvaguardia del paesaggio,
delle bellezze naturali e  dell'ambiente  viene,  percio',  a  essere
posta in un contesto di  tutele  gia'  sufficienti,  con  conseguente
irragionevole detrimento degli altri  interessi  coinvolti  e  palese
esercizio sviato del potere afferente alla tutela  del  paesaggio  da
parte del Ministero. Soprattutto, ove si tenga a mente che il decreto
ministeriale ha previsto nell'allegato A, contenente  la  «disciplina
d'uso per la tutela e la valorizzazione»,  prescrizioni  dettagliate,
puntuali, pervasive e inderogabili, tali da menomare ogni valutazione
di compatibilita' paesaggistici di qualsiasi intervento da realizzare
nel Comelico. 
    In via generale, poi, il decreto impugnato  ritiene  "ammissibili
solamente  quegli  interventi  che   prevedano   la   conservazione",
perseguendo unilateralmente una pur apprezzabile finalita', che pero'
volge in illegittimita' per le seguenti ragioni di 
 
                               Diritto 
 
1. Violazione ed erronea applicazione dell'art.  138,  comma  3,  del
decreto   legislativo   n.   42/2004.   Eccesso   di    potere    per
irragionevolezza, violazione  del  principio  di  proporzionalita'  e
sviamento di potere. Violazione dei principi di leale collaborazione,
buon   andamento,   sussidiarieta'   e   adeguatezza,   decentramento
amministrativo, riconoscimento e promozione delle  autonomie  locali,
correttezza e buona fede, di cui rispettivamente agli  articoli  120,
97, 118 e 5 della Costituzione e 1366 nonche' 1375 del codice civile. 
    L'art. 138, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004 fa  salvo
il potere del Ministero, su  proposta  motivata  del  soprintendente,
previo  parere   della   regione   interessata,   che   deve   essere
motivatamente  espresso  entro  e  non  oltre  trenta  giorni   dalla
richiesta,  di  dichiarare  il  notevole  interesse  pubblico   degli
immobili e delle aree di cui all'art. 136 (nel caso di specie  si  ha
riguardo  a  «complessi  di   cose   immobili   che   compongono   un
caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi
i centri ed i nuclei storici»), derogando in tal modo al procedimento
ordinario che attribuisce la competenza  decisoria  a  tale  riguardo
alle regioni (art. 140, comma 1 del decreto legislativo n. 42/2004). 
    In ragione dell'art. 140, comma 2,  del  decreto  legislativo  n.
42/2004, la dichiarazione di notevole  interesse  pubblico  detta  la
specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori
espressi  dagli  aspetti  e  caratteri   peculiari   del   territorio
considerato.   Essa   costituisce   parte   integrante   del    piano
paesaggistico e non e' suscettibile  di  rimozioni  o  modifiche  nel
corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo. 
    La naturale finalita' del potere in parola e', dunque, quella  di
assoggettare singoli beni immobili o un complesso degli stessi ad  un
vincolo specifico, il quale, esprimendo esigenze di tutela  puntuali,
si pone in un rapporto di impermeabilita'  rispetto  alle  previsioni
del piano paesaggistico, che  non  puo'  alterarne  le  prescrizioni,
neppure in fase di revisione dei propri contenuti. 
    Ove, invece, il provvedimento abbia ad oggetto non gia' complessi
immobiliari, eventualmente anche vasti, ma intere  aree  geografiche,
dalle connotazioni varie e multiformi, per non dire  disomogenee,  ed
abbia un contenuto a valenza pianificatoria, come nel caso di specie,
la dichiarazione di notevole interesse  pubblico  muta  da  legittimo
strumento di salvaguardia dei valori paesaggisti, a mezzo unilaterale
di ingerenza, idoneo a pregiudicare, se non ad elidere del tutto,  la
competenza pianificatoria in materia paesaggistica, che,  secondo  la
costante giurisprudenza costituzionale (v., da ultimo, la sentenza n.
66 del 2018), esige un «obbligo di elaborazione congiunta»  da  parte
dello Stato e delle regioni. 
    Con riguardo al territorio della Regione del Veneto, la complessa
attivita'  prodromica  alla  pianificazione  paesaggistica  e'  stata
intrapresa a far data dall'intesa Stato-Regione del 2009 ed e' sempre
proseguita con periodiche riunioni, da  ultimo  ancora  nel  dicembre
2019. 
    Nessuna inerzia e', percio', riscontrabile  nel  procedimento  di
pianificazione paesaggistica, il quale,  invece,  esige  un'attivita'
amministrativa e tecnica di analisi molto complessa e  articolata,  e
dunque necessariamente lunga; peraltro, essa  e'  oramai  prossima  a
consentire l'adozione, quanto meno per stralci progressivi, del piano
paesaggistico,  secondo  una  valutazione   condivisa,   complessiva,
esaustiva e ponderata dei valori paesaggistico-ambientali in uno  con
tutti gli altri interessi coinvolti nella  disciplina  pianificatoria
del territorio regionale. 
    Ne consegue che non solo in astratto, ma pur anche  in  concreto,
il necessario concorso decisorio statale e regionale  in  materia  e'
stato illegittimamente eliso in ragione dell'unilaterale  apposizione
dei vincoli conseguenti  alla  dichiarazione  di  notevole  interesse
pubblico da parte del  Ministero,  mediante  l'esercizio  del  potere
«straordinario» (1) di cui al  comma  3  dell'art.  138  del  decreto
legislativo  n.  42/2004,  cui,  peraltro,  le  regioni   partecipano
unicamente mediante l'espressione di un parere obbligatorio,  il  che
si  traduce,  in  ragione   del   cedevole   ed   eventuale   apporto
collaborativo regionale, in una ulteriore ragione  di  lesione  della
competenza co-decisoria attribuita agli enti territoriali in  materia
di tutela paesaggistica nonche' in una violazione  del  principio  di
leale collaborazione che e' posto a fondamento della stessa. 
    Il  principio  di  leale  collaborazione  e',  infatti,  previsto
dall'art. 120, comma 2, della Costituzione, e «opera su tutto  l'arco
delle relazioni istituzionali fra Stato e regioni, senza  che  assuma
rilievo  la  distinzione  fra  competenze  amministrative  proprie  o
delegate». (Sentenza n. 242/1997). 
    Il  decreto  ministeriale  e',  percio',  illegittimo  in  quanto
contraddice  l'assetto  competenziale   disegnato   dal   legislatore
statale, in attuazione del dettato costituzionale, e cio' in  assenza
dei presupposti giustificativi, come  sara'  meglio  evidenziato  nel
quarto motivo di  impugnazione  (articoli  135,  138  e  143  decreto
legislativo n. 42/2004), e determinando una indebita  elisione  della
competenza regionale, diretta e delegata,  in  materia  di  tutela  e
valorizzazione   dei   beni   culturali   e   ambientali,    nonche',
mediatamente, in materia di governo del territorio, di turismo  e  di
agricoltura. 
    D'altronde,  in  considerazione  delle  concrete   modalita'   di
esercizio del potere da parte del Ministero,  che  investono  un'area
molto estesa del  territorio  regionale,  ponendo  vincoli  puntuali,
dettagliati e inderogabili,  si  determina  un  palese  sviamento  di
potere, ossia al formale rispetto dell'attribuzione di  cui  all'art.
138, comma 3, del  decreto  legislativo  42/2004,  si  sovrappone  un
esercizio concreto del potere  sovrabbondante,  lesivo  delle  altrui
competenze e deviato dall'ordinario  corso  teleologico  che  avrebbe
dovuto percorrere. 
    A tale riguardo, la giurisprudenza  amministrativa  ha  affermato
che: «la dichiarazione di  interesse  pubblico  riguardante  un  area
"vasta" non  costituisce  percio'  di  per  se'  espressione  di  una
funzione di pianificazione», posto  che  essa  «non  attiene  a  tale
funzione ne' la acquisisce per il mero  fatto  dell'integrazione  nel
piano, unico atto cui la funzione e'  invece  attribuita  anche  allo
scopo, ulteriore rispetto alle determinazioni singole, di  coordinare
in un quadro complessivo l'interazione tra i vincoli di diverso  tipo
gravanti sul territorio qualificato come  paesaggio».  (Consiglio  di
Stato, Sezione VI, n. 534, del 29 gennaio 2013). 
    Sennonche', con riguardo al caso di specie, tale  conclusione  e'
smentita o, rectius, corroborata a contrario, in quanto l'ampiezza  e
il  contenuto  del  decreto  ministeriale  impugnato   e'   tale   da
trasfigurarlo in un vero e  proprio  atto  di  pianificazione.  Basti
considerare  che  lo  stesso  provvedimento  richiama  al   punto   3
dell'allegato A, recante:  «Disciplina  d'uso  per  la  tutela  e  la
valorizzazione», il contenuto dell'art. 135,  comma  4,  del  decreto
legislativo n. 42/2004, il quale elenca puntualmente le  prescrizioni
e previsioni che devono connotare il piano  paesaggistico,  al  quale
dunque il decreto ministeriale ha inteso sostituirsi in toto. 
    A titolo meramente esemplificativo, poi, si legga  la  disciplina
prescrittiva relativa alla «Nuova edificazione», rispetto  a  cui  e'
previsto  che:  «Gli  eventuali  interventi  di  nuova   edificazione
dovranno essere ubicati nei lotti  liberi  interclusi  nell'edificato
esistente o  in  contiguita'  con  esso,  salvaguardando  i  contesti
attualmente ancora integri». 
    Il decreto ministeriale pone, percio',  un  divieto  assoluto  di
edificazione  per  vaste  aree  del   territorio   del   Comelico   e
indipendentemente  dalla  compatibilita'  paesaggistica  delle  nuove
costruzioni. Ossia queste potranno essere realizzate  unicamente  nei
lotti liberi interclusi o  adiacenti  all'edificato,  impedendo  ogni
opera sulle altre aree libere,  anche  nell'ipotesi,  tutt'altro  che
peregrina, che esse soddisfino l'esigenza di un armonico  inserimento
nel contesto paesaggistico, nel rispetto della morfologia dei luoghi. 
    Si eccede, dunque, di gran lunga il fine di tutela del paesaggio,
assumendo invece il provvedimento impugnato una  illegittima  valenza
pianificatoria, che, resa immodificabile dall'art. 140, comma 2,  del
decreto legislativo n. 42/2004,  assume  una  lesivita'  ancora  piu'
pervasiva e deleteria. 
    Conferma, peraltro, dello sviamento di potere sotteso al  decreto
ministeriale  nonche'  testimonianza  della  irragionevolezza   dello
stesso si ricava dalla parte motiva, ove si dichiara che: «Nelle more
della  redazione  del  Piano  Paesaggistico,  i  cui  contenuti  sono
specificati all'art. 143 del decreto legislativo n.  42/2004,  questa
Amministrazione ha quindi ritenuto necessario avviare il procedimento
di dichiarazione di notevole interesse pubblico cosi' come  stabilito
all'art. 138, comma 3, in quanto - a differenza della  pianificazione
territoriale vigente - risulta allo stato attuale  l'unico  strumento
immediatamente operante in grado di imporre una specifica  disciplina
d'uso   funzionale,   in   maniera   sovraordinata,    alla    tutela
paesaggistica, peraltro in piena coerenza con  quanto  richiesto  per
l'elaborazione del piano paesaggistico». 
    L'intervento ministeriale  troverebbe,  dunque,  ragion  d'essere
quale strumento di tutela  paesaggistica  provvisoria  e  interinale,
diretta a salvaguardare il  sistema  di  valori  storico-culturali  e
paesaggistici del Comelico, esclusivamente nelle  more  dell'adozione
del Piano paesaggistico. Sennonche' lo strumento giuridico  adoperato
esorbita da tale finalita', imponendo vincoli puntuali,  inderogabili
e   immodificabili   da   parte   della   successiva   Pianificazione
paesaggistica, in tal modo espropriando  definitivamente  le  regioni
della competenza loro attribuita in via ordinaria dalle stesse  leggi
statali  e  conferendo  ad  un  provvedimento  puntuale   di   tutela
un'estensione abnorme ed eccentrica.  Il  provvedimento  ministeriale
viene,  infatti,   come   evidenziato,   a   sostituirsi   al   piano
paesaggistico, adottando un contenuto  pianificatorio  e  regolatorio
che eccede quanto consentito dalla norma di relazione attributiva del
relativo potere. 
    Ulteriore  comprova  della   illegittimita'   del   provvedimento
impugnato si rinviene  nella  sua  intrinseca  contraddittorieta'  ed
eccentricita' motivazionale, laddove pone  a  proprio  fondamento  la
necessita' di intervenire per porre rimedio ai «fattori di rischio  e
(a)gli elementi di vulnerabilita' presenti nell'ambito  identificato»
che «sono principalmente ascrivibili al  processo  di  abbandono  del
versante,  al  declino  del  settore  primario  e   a   fenomeni   di
spopolamento». 
    Si  tratta,  infatti,   di   fattori   di   valenza   sociale   e
socio-economica, che rischiano,  peraltro,  di  essere  ulteriormente
aggravati dai vincoli posti dal provvedimento ministeriale e che,  ad
ogni buon conto, nulla hanno a che vedere rispetto alle  esigenze  di
tutela paesaggistica che dovrebbero informare il decreto impugnato. 
    La condotta amministrativa posta in essere  dal  Ministero  pare,
inoltre, violare in concreto il  generale  dovere  di  buona  fede  e
correttezza che deve operare non solo nei rapporti  tra  privati,  ma
anche in quelli tra privati e amministrazioni e tra  amministrazioni,
laddove    esse    debbano    esercitare    sovrapposte    competenze
amministrative, nel perseguimento  dell'interesse  generale  affidato
alle  loro  rispettive  cure.  In  pendenza   del   procedimento   di
pianificazione paesaggistica, oggetto di accordi e di continuativa  e
decennale collaborazione procedimentale, la parte pubblica statale ha
deciso, unilateralmente, di porre nel nulla tutta l'attivita' svolta,
adottando una disciplina unilaterale  inderogabile  e  pregiudicante.
Ben sarebbe stato possibile, invece, ove se  ne  fosse  ravvisata  la
necessita' (invero assente, come si vedra' nel proseguo), sollecitare
l'adozione  congiunta  di  uno  stralcio  del   piano   paesaggistico
relativamente all'area del Comelico. 
    Sul dovere di correttezza  e  di  buona  fede  nei  rapporti  tra
amministrazioni, analogamente a quanto avviene nei rapporti con e tra
privati (codice civile, articoli  1366,  1375),  si  vedano,  tra  le
altre, Consiglio di Stato, VI, 5 giugno 2017, n. 2690;  Consiglio  di
Stato, III, 2 maggio 2017, n. 2014; Consiglio di Stato V,  21  aprile
2017, n. 1868; Consiglio di  Stato,  VI,  5  aprile  2017,  n.  1590;
Consiglio di Stato, VI, 23 marzo 2016, n. 1200; Consiglio  di  Stato,
V, 16 giugno 2016, n. 2644; Consiglio di Stato, III, 5 ottobre  2016,
n. 4105. 
    Sull'obbligo di leale collaborazione si vedano anche Consiglio di
Stato, VI, 23 febbraio 2016, n.  727,  Consiglio  di  Stato,  VI,  23
agosto 2016, n. 3681 e infine Consiglio di Stato, V, 9  luglio  2012,
n. 3996. 
2. Violazione degli articoli 4 e 6, comma 2,  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152 e  della  direttiva  2001/42/CE  «Concernente  la
valutazione  degli  effetti  di   determinati   piani   e   programmi
sull'ambiente naturale» 
    In considerazione dell'estensione disciplinatoria, quantitativa e
qualitativa,  del  provvedimento  ministeriale  emerge  un  ulteriore
motivo di illegittimita' dello  stesso.  La  disciplina  comunitaria,
infatti, e la normativa statale attuativa della  stessa  esigono  che
qualunque  attivita'  di  pianificazione  che  possa  avere   impatti
significativi  sull'ambiente  e  sul  patrimonio  culturale   nonche'
incidere sul regime autorizzatorio di taluni interventi da  compiersi
sul territorio sia assoggettata a VAS (art. 6, commi 1 e  2,  lettera
a) decreto legislativo n. 152/2006). 
    A tale riguardo, nonostante il contrario avviso  di  parte  della
giurisprudenza amministrativa, che non pare peraltro condivisibile in
ragione della pervasivita' della disciplina comunitaria, che  prevede
un obbligo generale e refrattario a deroghe,  si  deve  ritenere  che
anche  i  piani  paesaggistici  debbano  essere   assoggettati   alla
Valutazione ambientale strategica. 
    Ne consegue che il decreto ministeriale in parola,  sostituendosi
contenutisticamente al piano  paesaggistico,  avrebbe  dovuto  essere
preceduto dalla VAS. 
    Nel caso di specie non  risulta,  invece,  che  il  provvedimento
ministeriale  sia  stato  assoggettato  a  VAS,  il  che  ne  attesta
l'illegittimita' sotto questo ulteriore profilo. 
3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 140, comma 2, del  decreto
legislativo n. 42/2004 per violazione  degli  articoli  3,  97,  117,
commi 3 e 4, 118 della Costituzione. 
    Laddove  non  si  ritengano  fondati  i  precedenti   motivi   di
impugnazione e il potere attribuito allo Stato dall'art.  138,  comma
3, del decreto legislativo n.  42/2004  sia  ritenuto  legittimamente
esercitato, pur ove, come nel caso  di  specie,  abbia  un  contenuto
esorbitante  e  involga  un  ambito  territoriale  non   limitato   a
circoscritti e caratteristici complessi immobiliari, ma operi  invece
su di una area tanto ampia da esautorare il Piano  paesaggistico  del
suo ambito di applicazione, la relativa disciplina legislativa dovra'
ritenersi non conforme  a  Costituzione.  Cio',  in  particolare,  in
ragione della impermeabilita' del provvedimento ministeriale rispetto
al  potere  concertato  di  pianificazione  paesaggistica,  stabilita
dall'art.  140,  comma   2,   del   medesimo   decreto   legislativo.
Impermeabilita' che determina la  violazione  degli  artiocli  3,  97
della Costituzione in uno con gli articoli 118 e 117,  commi  3  e  4
della Costituzione. 
    Quanto alla rilevanza, nel presente giudizio,  della  prospettata
questione di costituzionalita', basti considerare che le prescrizioni
unilaterali  contenute  nel  provvedimento   ministeriale   impugnato
assumono una connotazione lesiva e  irragionevole  in  forza  proprio
della inderogabilita' prevista dall'art. 140, comma  2,  del  decreto
legislativo n. 42/2004. 
    La   declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale    della
disposizione di legge in parola e', percio', indispensabile  al  fine
di poter vedere dichiarata l'illegittimita' del decreto  ministeriale
impugnato, nella parte in  cui  esso  assume  carattere  inderogabile
rispetto alle  prescrizioni  del  piano  paesaggistico.  Da  cio'  la
rilevanza della questione di costituzionalita' ai fini di decidere il
presente giudizio. 
    Quanto  alla  non  manifesta   infondatezza   della   prospettata
questione di costituzionalita', si  deve  rilevare  che  l'art.  140,
comma 2,  del  decreto  legislativo  n.  42/2004,  elidendo  in  modo
definitivo la competenza codecisoria dello Stato e delle  regioni  in
materia di pianificazione  paesaggistica,  anche  in  riferimento  ad
ampie porzioni  di  territorio,  si  pone  in  contraddizione  con  i
principi di ragionevolezza  di  cui  all'art.  3  della  Costituzione
nonche' con il principio di  proporzionalita',  traducendosi  in  uno
strumento irragionevole, eccentrico rispetto alle finalita' di tutela
che lo connotano e, comunque, non necessario ed eccedente i  fini  di
salvaguardia perseguiti. 
    In  particolare,  il  potere  unilaterale  del  Ministero  appare
commensurabile rispetto a fini di salvaguardia e tutela paesaggistica
unicamente nella misura in cui si rivolga  a  specifiche  e  puntuali
aree o complessi immobiliari (nella misura massima indicativa  di  un
centro storico, per espressa previsione di legge), senza estendersi a
porzioni  di  territorio  la  cui  vastita',  invece,  esige  che  le
decisioni di salvaguardia siano adottate a livello di  pianificazione
paesaggistica, mediante l'intervento codecisorio degli  organi  dello
Stato e delle regioni interessate. E, comunque, al piu',  nei  limiti
in  cui  resti   impregiudicata   la   possibilita',   in   sede   di
pianificazione paesaggistica, di modificarne il contenuto al fine  di
realizzare  la  migliore  tutela  possibile  del  valore   paesaggio.
Possibilita' che, invece, e' espressamente esclusa dalla disposizione
di legge sospettata di incostituzionalita'. 
    D'altronde,  la  impermeabilita'  delle   unilaterali   decisioni
ministeriali, come determinata dal combinato disposto degli  articoli
138, comma 3 e 140, comma 2, del decreto legislativo n.  42/2004,  si
traduce, oltre che in un elemento di irragionevolezza, anche  in  uno
strumento  diretto  di  lesione  delle   competenze   regionali,   in
particolare, in violazione dell'art. 118  della Costituzione  nonche'
dell'art. 117, commi 3 e 4, della Costituzione, in  quanto  risultano
elise,  in  modo  definitivo   ed   irretrattabile,   le   competenze
amministrative regionali in materia,  come  attribuite  dalle  stesse
norme interposte statali, nonche' la competenza legislativa regionale
in materia di valorizzazione dei  beni  culturali  e  ambientali,  di
governo del territorio, turismo e agricoltura. 
    Si determina, inoltre, in ragione della previsione dell'art. 140,
comma 2, del decreto legislativo 42/2004, una lesione anche dell'art.
97 della Costituzione, in quanto l'impermeabilita' dei vincoli  posti
unilateralmente dal  Ministero  si  traduce  in  una  violazione  del
principio di buon andamento del pubblico agire, il  quale  esige  che
ogni potere sia esercitato per il miglior perseguimento del  pubblico
interesse, senza, pero', introdurre, come nel caso di specie, vincoli
idonei  a  consolidarsi  a  pregiudizio  del   successivo   possibile
adeguamento contenutistico e teleologico, tanto piu' necessario in un
settore quale quello della pianificazione territoriale. 
    Peraltro, anche tale violazione  ridonda  in  una  lesione  della
competenza  amministrativa  regionale  di  cui  all'art   118   della
Costituzione, come riconosciuta alle regioni dalla legge dello Stato,
nonche' dell'art. 117, commi 3 e 4, della Costituzione. 
    A tale riguardo  non  si  ignora  che  la  «tutela  ambientale  e
paesaggistica,  gravando  su  un  bene  complesso  ed   unitario,   e
rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque
costituisce un limite alla  tutela  degli  altri  interessi  pubblici
assegnati alla competenza concorrente delle  regioni  in  materia  di
governo del territorio e  di  valorizzazione  dei  beni  culturali  e
ambientali» (sentenza Corte costituzionale n. 367 del 2007); restando
salva unicamente la facolta' delle  regioni  «di  adottare  norme  di
tutela ambientale piu' elevate nell'esercizio di competenze, previste
dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella  dell'ambiente»
(ut supra). 
    Cionondimeno, l'art. 140, comma 2,  del  decreto  legislativo  n.
42/2004, in ragione della rilevata irragionevolezza, gia'  invero  di
per se' rilevante sotto il  profilo  costituzionale,  sembra  rendere
illegittima la prevista compressione delle competenze regionali, come
peraltro attribuite nell'ambito di un disegno organico da parte dello
stesso legislatore statale in  attuazione  della  Costituzione  della
Repubblica    italiana;    attribuzioni    le     quali     risultano
irragionevolmente elise dal combinato disposto  degli  articoli  138,
comma 3 e 140, comma 2, del decreto legislativo n. 42/2004, con grave
detrimento  del  pubblico  interesse,  il  che  si  traduce  in   una
violazione pur anche del principio di  leale  collaborazione  di  cui
all'art. 120 della Costituzione, che deve presiedere i  rapporti  tra
lo Stato e le regioni e che ha trovato un adeguato  equilibrio  nella
previsione  di  un  potere  codecisorio   nell'adozione   del   piano
paesaggistico. 
    Per tali ragioni si ritiene che, ove ritenuta legittima l'esegesi
estensiva del potere di  cui  all'art.  138,  comma  3,  del  decreto
legislativo  n.  42/2004,  debba  essere   sollevata   questione   di
costituzionalita' in relazione all'art. 140,  comma  2,  del  decreto
legislativo n. 42/2004, affinche' la Corte costituzionale ne dichiari
l'illegittimita' costituzionale. 
4. Eccesso di potere per  travisamento  dei  fatti,  irragionevolezza
manifesta   e   violazione   dei   principi   che   presiedono   alla
pianificazione urbanistica e  paesaggistica.  Violazione  ed  erronea
applicazione dell'art. 138, comma 3,  e  dell'art.  140  del  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
Violazione del principio di proporzionalita' di cui all'art. 3  della
Costituzione. 
    Il Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 534, del 29  gennaio  2013,
ha affermato che il potere di cui all'art. 138, comma 3, del  decreto
legislativo   n.   42/2004   e'   un   «potere-dovere   d'intervento,
caratterizzato da un procedimento in parte  differenziato  da  quello
previsto  nei  primi  due  commi,  che  l'ordinamento  giuridico   ha
istituito, attivabile nei casi in cui, in base a valutazioni anche di
discrezionalita'  tecnica,  possa  essere  concretamente  a   rischio
l'interesse costituzionalmente affidato allo Stato». 
    Nel caso di specie non e' dato rinvenire nella parte  motiva  del
provvedimento impugnato alcuna argomentazione che evidenzi un rischio
concreto di lesione per l'interesse paesaggistico quanto  alla  vasta
area considerata. Sono addotte, invece, una serie  di  considerazioni
descrittive delle qualita' paesaggistiche del Comelico (condizioni di
particolarita' e originalita' orografica  e  geografica;  interazione
tra aspetti naturali e secolare azione antropica)  e  l'unico  motivo
che giustificherebbe l'urgenza di tutela e' individuato  nel  fattore
di rischio e nell'elemento di vulnerabilita' ascrivibile al  processo
di abbandono dei versanti, al  declino  del  settore  primario  ed  a
fenomeni di spopolamento. Non e' dato comprendere, invero, come  tali
fattori possano incidere negativamente sul bene  paesaggio  alla  cui
tutela il provvedimento ministeriale  e'  diretto.  Al  contrario  lo
spopolarsi dell'area e il  declino  rurale  ed  economico  dovrebbero
essere considerate fonti di riduzione  del  «rischio»  paesaggistico,
che invece si potrebbe presentare in  presenza  di  un  ripopolamento
dell'area o di un intensivo sviluppo economico. 
    Quanto alla asserita  necessita'  di  «guidare»  il  processo  di
riqualificazione  del  Comelico,  essa  non  presenta  caratteri   di
attualita' e avrebbe dovuto, peraltro, essere affidata alla  potesta'
pianificatoria  paesaggistica,  cui   naturalmente   afferisce   tale
finalita' ex art. 135, comma 4, lettera b) e d)  decreto  legislativo
n. 42/2004. 
    Ne  consegue  che  la  mancanza  in  concreto   del   presupposto
giustificativo del potere di cui all'art. 138, comma  3  del  decreto
legislativo  n.  42/2004,   come   enucleato   dalla   giurisprudenza
amministrativa, determina l'illegittimita' del  decreto  ministeriale
impugnato. 
    D'altronde l'iniziativa statale qui criticata appare  illegittima
anche perche' sembra presupporre la insufficienza  dei  vari  vincoli
gia' esistenti, laddove e'  invece  oggettivamente  constatabile  che
essi sono stati ampiamente sufficienti, atteso che siamo in  presenza
di un ambiente perfettamente conservato e di ineguagliabile bellezza. 
    Si  denuncia,  ancora,  la  irragionevolezza  di  una  disciplina
uniforme per un territorio di notevole estensione,  che  presenta  (e
non   potrebbe   essere   diversamente)   situazioni   anche    molto
differenziate  e  la   sproporzione   del   provvedimento   impugnato
evidentemente non necessario ed  eccedente  i  fini  di  salvaguardia
perseguiti. 
    La disciplina  introdotta  con  la  determinazione  impugnata  ha
carattere dichiaratamente immutabile; il che  denuncia  una  assoluta
ignoranza  della  esigenza  per  cui  qualsiasi  pianificazione,  non
solamente quella urbanistica e paesaggistica,  richiede  un  continuo
aggiornamento per corrispondere compiutamente e tempestivamente  alle
esigenze di una societa', che da contadina che era negli anni '40  e'
divenuta industriale, poi post industriale e ora telematica e  quindi
soggetta ad un sempre piu' rapido cambiamento. 
5. Violazione delle attribuzioni riservate alla soprintendenza  e  ai
comuni.  Violazione  sotto  ulteriore  profilo  dell'art.  118  della
Costituzione.  Eccesso  di  potere  per   ingiustizia   manifesta   e
disparita' di trattamento nei confronti di una zona che si attende un
adeguato sostegno al suo sviluppo economico-sociale. 
    Venendo ora ad un esame del particolare contenuto  dell'impugnato
provvedimento, balza agli occhi il fatto di costituire un insieme  di
vincoli puntuali a priori (cosiddetti «vestiti»), vincoli che  invece
di regola consistono nella sola necessita' che qualsiasi  innovazione
richieda il previo nulla-osta del soprintendente, che ha  appunto  il
compito di valutare caso per caso lo specifico intervento  progettato
ai  fini  della   sua   compatibilita'   con   il   mantenimento   di
quell'esteriore aspetto del luogo che la legge intende proteggere. Si
tratta di un potere di discrezionalita' tecnico - valutativa  di  cui
sono esclusivamente attributari i soprintendenti e di cui gli  stessi
non possono essere espropriati  senza  oltre  tutto  renderli  organi
assolutamente inutili. Ne' la denunciata  illegittima  espropriazione
e' limitata alle soprintendenze;  forse  addirittura  piu'  grave  e'
quella di cui sono vittime i comuni, primi e  piu'  diretti  titolari
del potere di controllo di quell'elemento costitutivo essenziale  che
e' il loro territorio. 
    Ed invero, ai sensi dell'art. 118 della Costituzione,  il  comune
ha una competenza «propria», quindi non attribuita  o  delegata.  Ora
tale competenza e' propria secondo un criterio storico, nel senso che
i liberi comuni, sin dal  primo  Medioevo  e  cioe'  sin  dal  secolo
decimosecondo, hanno sempre rivendicato, in  via  esclusiva  di  ogni
dipendenza feudale o anche imperiale, il  potere  di  stabilire  dove
creare la torre civica, la piazza  principale,  la  cattedrale  e  in
genere di disciplinare il proprio abitato. L'espressione  «la  citta'
rende liberi» sta proprio a significare la possibilita' del comune di
attribuire al cittadino, per la prima  volta  nella  storia,  quattro
secoli prima della nascita degli Stati moderni e sette  secoli  prima
della rivoluzione francese, la piena proprieta' della sua  abitazione
e delle sua  bottega.  Questa  «competenza  propria»,  attribuita  al
comune direttamente dalla Costituzione, non puo' essere soppressa ne'
dallo Stato, ne' dalla stessa regione, con la quale  il  comune  deve
varare il proprio piano regolatore in  una  collaborazione  che  vede
pero' la posizione del comune come prevalente. 
    Le conseguenze  non  sono  solo  quelle  cosi'  denunciate  e  di
carattere   formale,   ma   anche   e   soprattutto   di    carattere
socio-economico: si pensi al caso del Comelico, zona di incomparabile
bellezza  rimasta  sin'ora  estranea  allo  sviluppo  delle  contigue
Dolomiti, impoverita e spopolata. 
    Tutto cio' premesso e ritenuto, 

(1) V. Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 534, del 29  gennaio  2013,
    ove si afferma che il  potere  in  parola  e'  un  «potere-dovere
    d'intervento,  caratterizzato  da  un   procedimento   in   parte
    differenziato  da  quello  previsto  nei  primi  due  commi,  che
    l'ordinamento giuridico ha istituito, attivabile nei casi in cui,
    in base a valutazioni anche di  discrezionalita'  tecnica,  possa
    essere concretamente  a  rischio  l'interesse  costituzionalmente
    affidato allo Stato».